Instapaper è l’app che permette di salvare articoli e post da siti web e rileggerli, con calma, off line, reimpaginati e spogliati dalle impedimenta vari ed eventuali (pubblicità, banner, menù e gli altri elementi della pagina Internet). Il nostro amore per Insta è ormai cosa nota: unisce la semplicità all’utilità — due ingredienti che coniugati insieme danno una lega geniale — e a nostro avviso sta trasformando il giornalismo, allentandone alcuni bulloni particolarmente frenetici e telegrafici; e dandogli la possibilità di allargarsi, tracimare, allungarsi.
L’app funziona tramite un bottone che, se cliccato, salva l’articolo nel proprio account. Spesso gli utenti scorrono velocemente il testo, decidono che è di loro interesse e premono il pulsante. Di fatto, non hanno modo di vedere i banner pubblicitari che tengono a galla il giornale o blog che stanno leggendo. In qualche modo, scrive Outside the Beltway, giornale on line d’affari internazionali, Instapaper farebbe un’operazione illeggittima, copiando materiale prodotto da altri e spogliandolo dai messaggi che gli investitori pagano per renderli visibili agli utenti.
La questione è interessante ed estremamente attuale, visto che anche Apple ha abbracciato il read later con il suo nuovo sistema operativo Lion. È lecito presentare materiale altrui, sviscerarlo da determinate informazioni e presentarle con un aspetto grafico totalmente diverso? E – considerando che Instapaper non è gratuita – è lecito farlo facendosi pagare ?
Il mondo dell’offline corre parallelo a quello online: ne è lo specchio cristallizzato, in qualche modo. Instapaper rende vano il fiorire di link che i siti creano per invogliare il lettore, “incastrandolo” in una spirale di click. Ma i blog che citano (o ripropongono) articolo altrui non fanno lo stesso? Ni, secondo Outside the Beltway:
Molti di noi (blogger, nda) guadagnano estrapolando dal lavoro di media mainstream. La differenza è che il nostro valore aggiunto è di commento e/o cura. E linkiamo l’originale, di solito — portando traffico e aumentando il ranking del sito-fonte nei motori di ricerca.
Qui la tesi dell’articolo perde un po’ di pezzi e il suo fascino robinhoodesco, per alcune ragioni:
- anche Instapaper indica l’URL della pagina web copiata, pardon “rubata”;
- la quale è raggiungibile in qualsiasi momento (basta conettersi a Internet), e navigabile. A quel punto tutte le ads saranno lì ad aspettarci, finally;
- anche Dagospia, in Italia (o Drudge Report negli USA) prende articoli altrui e li proponge nel loro spazio. Anzi, Dago li presenta nel suo sito, che è costallato di pubblicità che va ad arricchire lui stesso, in barba (direbbero quelli di OtB) agli autori e alle loro finanze. Dagospia ruba? No, anzi: muove traffico e dà — non prendetevela con me — voce alla notizia;
- infine, penso sia successo a tutti di scoprire per caso un sito, salvarne un articolo interessante, apprezzarlo, e da lì cominciare a visitarlo regolarmente. Risorse come Instapaper non rubano: diciamo che prendono in prestito informazioni, dando la possibilità a tutti di gustarle con tempi più dilatati. Senza lo stress del wi-fi. Ovvero, meglio;
Non esiste un off line senza on line (e viceversa). Gli utenti d’Instapaper si rinchiudono per breve tempo in un mondo senza web per poi rientrarci, rituffandosi nel marasma di ads che lo popola (e tiene in vita). L’off line è l’eccezione di una regola che continuerà, e che è troppo forte per essere intaccata da una piccola, utilissima applicazione. E se davvero rubasse, perché siti di news che sono lo stato dell’arte del settore, come Daily Beast e Slate, hanno cominciato ad integrare il pulsante read later ad alcuni loro pezzi? Non credo sia masochismo; io lo chiamerei fiuto.